Titolo: Editoriale
Tipo di pubblicazione: articolo
Anno di pubblicazione: 2022
Autore: Michele Marchetto
Rivista: IUSVEducation #20
Pagine: 4-9
Data di pubblicazione: ottobre 2022
Editore: IUSVE – Istituto Universitario Salesiano
ISSN: 2283-642X
Come citare: Marchetto, M. (2022). Editoriale. IUSVEducation, 20, 4-9. https://www.iusveducation.it/editoriale-20/
Paper PDF: IUSVEducation_20_Marchetto_EDITORIALE.pdf
Editoriale
Tutto è in relazione, e tutti noi esseri umani siamo uniti come fratelli e sorelle in un meraviglioso pellegrinaggio, legati dall’amore che Dio ha per ciascuna delle sue creature e che ci unisce anche tra noi, con tenero affetto, al fratello sole, alla sorella luna, al fratello fiume e alla madre terra (Francesco 2015: n. 92).
Niente sembra più all’ordine del giorno di un pensiero della comunità: più richiesto, reclamato, annunciato da una congiuntura che lega in un unico nodo epocale il fallimento di tutti i comunismi alla miseria dei nuovi individualismi. E tuttavia niente è meno in vista. Niente così remoto, rimosso, rimandato a un tempo di là da venire, ad un orizzonte lontano e indecifrabile (Esposito 1998-2006: VII).
In un libro di più di vent’anni fa, eppure ancora attuale, il filosofo Roberto Esposito esplicita il criterio che lega i contributi relativi all’“Ecologia integrale e nuovi stili di vita” presentati in questo numero di “Iusveducation”: il senso di una comunità che si fonda sul dovere del dono. Esposito, infatti, indica la peculiarità della “comunità” non nell’appartenenza a un gruppo, a una collettività, ma nella differenza. È ben noto che il termine communitas deriva dal latino cum-munus, in cui il munus, che traduciamo con “dono”, appartiene all’area semantica del “dovere”, in quanto apparentato con onus (obbligo, onere), con officium (dovere politico, sociale, morale) e con donum (dono in offerta agli dei). Ne deriva che il munus è un dono particolare che implica lo scambio: una volta ricevuto e accettato il dono altrui, sono in dovere di ricambiarlo con beni o servizi. Ma, se devo qualcosa a qualcuno, se sono debitore, non sono del tutto padrone di me stesso: è «il dono che si dà perché si deve dare e non si può non dare» (ibi: XI). Quindi, la comunità non si fonda su una appartenenza che sottintende proprietà, ma su un dono-da-dare, che prevede esattamente l’opposto, ossia lo svuotamento della proprietà e il riconoscimento del proprio difetto rispetto all’obbligo da assolvere. Nella comunità metto in gioco ciò che mi manca, ciò che non sono, in quanto essere mancante: non sono ciò che l’obbligo del dare esige. Il mio difetto è la differenza che mi distingue dall’altro: questa, non la somiglianza fra i suoi membri, fonda la comunità. Cosicché la comunità è attraversata da una profondissima istanza etica, dato che l’obbligo del dono è, insieme, un debito e un imperativo morale. Se poi la comunità in questione si allarga a comprendere la madre Terra oltre alla specie umana, il dono-da-dare diventa ancora più impegnativo e il debito ancora più pesante, perché contratto nei confronti della condizione stessa della mia vita. Bene lo mette in evidenza l’epidemiologo dell’Imperial College di Londra, Paolo Vineis, indicando tre debiti della specie umana: quello ambientale, quello economico, ossia degli Stati, che è anche un debito sociale, e quello «più sottile e inesplorato legato alle nuove tecnologie della comunicazione e al connesso impatto cognitivo». In particolare il dono-da-dare nel contesto ambientale si convertirebbe in «una interazione benefica tra i benefici per la salute e i benefici per l’ambiente di diversi interventi di riforma». Il che non significa ridurlo all’intervento della tecnologia, che invece deve essere guidato da scelte politiche e valoriali, alla luce di una visione complessa e sistemica, «non secondo quella logica dei silos che caratterizza spesso la ricerca scientifica e la tecnologia». Allora il dono-da-dare diventa rigenerativo delle risorse a disposizione di tutti, soprattutto a favore delle future generazioni.
Il senso della mancanza rivelato dall’obbligo del dono è ancora più forte se associato alla “minaccia” che incombe sulla vita della comunità costituita dagli esseri umani e dalla madre Terra. Come osserva Simona Sacchi, docente di Psicologia sociale all’Università degli Studi di Milano-Bicocca, quando ci troviamo di fronte a minacce globali come quelle del cambiamento climatico e della pandemia, siamo obbligati a mettere in atto comportamenti che sono chiaramente microscopici rispetto alle dimensioni del problema, per cui rischiamo di provare la sensazione di essere “una goccia nell’oceano”, una barriera psicologica al nostro cambiamento: «Spengo il led della mia televisione tutte le sere, poi alzo gli occhi e vedo i grattacieli illuminati a giorno tutta la notte. Ecco, in quel momento, mi sento una goccia nell’oceano. Se io metto in atto un comportamento virtuoso ma nessun altro lo fa, il mio comportamento è totalmente inutile». E tuttavia diventa significativo nel momento in cui mi rendo conto che il dono-da-dare parte anche dagli altri, non solo da me, secondo i meccanismi psicologici della identificazione con il gruppo: «Quando gli individui si identificano molto con il loro gruppo, sono più propensi a muoversi per il bene del gruppo e non per l’interesse individuale, riducendo così fenomeni di free-riding. Le persone iniziano a pensare che non sono sole, che il loro comportamento in realtà va a sommarsi al comportamento degli altri membri del proprio gruppo. Questo va a lenire la sensazione di essere una goccia nell’oceano». In ciò è decisivo l’orientamento valoriale degli individui, che tendono ad ancorarsi a valori di tipo egoistico, oppure di tipo altruistico, oppure, ancora, a valori sovraordinati, associati alla biosfera, per cui possiamo mettere in atto azioni su base essenzialmente deontologica: il dovere di dare viene riconosciuto come un imperativo inaggirabile.
La logica del dono-da-dare non muta se consideriamo un altro contesto, quello dell’Università come una “società della conoscenza” che, secondo quanto argomenta Giovanni Marchioro nel suo contributo, sintetizza nel suo mandato formativo e di ricerca il compito di costituirsi come modello di sviluppo sia dell’individuo che della comunità. Si tratta di un sistema analogo al corpo, una sorta di comunità-corpo, che ricompone in un Tutto i singoli eventi: un sistema in cui più si sfumano i confini tra le parti, più si intravedono i contorni del Tutto. Esso vive della reciproca interazione cooperante di chi lo compone, ciascuno chiamato al dono-da-dare secondo lo statuto epistemologico proprio della sua disciplina.
La singolare dialettica io-altro che sottostà al dono è al centro anche del contributo di Lino Rossi, in cui la relazione viene considerata attraverso il filtro dell’atteggiamento estetico. A segnare l’esperienza dell’altro, infatti, è un sentire, un pathos: l’incontro con il tu è attraversato da quella che Theodor Adorno definisce come «la capacità di rabbrividire in un qualche modo, come se la pelle d’oca fosse la prima immagine estetica» (Adorno 1975: 553). È il brivido il segnale che sono toccato dall’altro:
«L’atteggiamento estetico si plasma su di un lui, invece di assoggettarselo. Nell’atteggiamento estetico tale costitutivo riferimento del soggetto all’oggettività sposa l’eros della conoscenza» (ibidem). Non è quindi sufficiente sentirsi interconnessi perché ci sia un’autentica relazione. Rossi scrive che «occorre restituire all’uomo un ruolo di presenza soggettiva, nel pathos che fa rabbrividire dinnanzi alla meraviglia di un incontro nell’imprevisto o forse, nell’incompiuto. […] L’altro eguale si affianca, non ci tocca. Perciò cogliere la totalità delle connessioni deve declinarsi in una prospettiva dialettica. Benché negativa». È il limite che scandisce la nostra finitezza come la condizione dell’incontro. Di nuovo, non la somiglianza, ma la differenza: «L’alterità sopraggiunta ci sorprende nel bisogno di evasione dalla presunta stabilità del nostro essere, saturo e morente».
Applicare il criterio del dono-da-dare al tema dello spreco del cibo potrebbe essere un esercizio particolarmente interessante nella lettura del contributo “Lo spreco di cibo. Analisi delle credenze di un gruppo di studenti universitari in base alla teoria del comportamento pianificato”. L’atto del mangiare, infatti,
soddisfa un bisogno primario, essenziale e ineludibile: alimentarsi in modo sufficiente, nutriente e sicuro rappresenta – o dovrebbe rappresentare – un diritto fondamentale per tutti gli abitati della terra. In questa visione il cibo dovrebbe essere considerato un bene comune, al pari dell’acqua, altrettanto fondamentale per la vita sul pianeta non solo degli esseri umani. Il che ci richiama alla “casa comune” (la Terra) che offre le risorse naturali e alle comunità di donne e uomini che le utilizzano per nutrirsi. Nella realtà invece questa visione – così ben formulata nell’enciclica Laudato si’ – è assai lontana dal realizzarsi, nonostante l’impegno di tante piccole comunità che si sono attivate negli anni per riconoscere il diritto al cibo e alcuni Paesi l’abbiano pure introdotto nella Costituzione (oltre venti, nessuno europeo) (Segrè 2022: 5).
L’articolo di Benincà, Canova, Manganelli, Benatti e Bobbio si propone di individuare, attraverso metodi di ricerca qualitativi, i comportamenti che gli studenti universitari ritengono rappresentativi dei concetti di “spreco di cibo” e di “evitare o ridurre lo spreco di cibo”, e di analizzare le credenze comportamentali, normative e di controllo associate al comportamento di “evitare o ridurre lo spreco di cibo”. In questo caso la gratuità del dono si associa alle necessità di ciascuno e alla sostenibilità per tutti, e consiste nella riduzione dello spreco e delle risorse necessarie per la produzione, che si traduce nella salvaguardia dell’ambiente. Il carattere di gratuità si evidenzia nell’impegno che esige la riduzione dello spreco: più tempo e attenzione per acquistare, preparare e conservare il cibo, sentirsi vincolati nella scelta alimentare, a volte con sentimenti di privazione e di disagio, preoccupazioni legate alla possibile riduzione della domanda di forza lavoro nella filiera alimentare, riflesso della riduzione dei profitti di produttori e venditori che beneficiano dell’eccesso produttivo e/o all’aumento del costo del cibo. È dunque chiaro che il tema si declina in senso valoriale, con una particolare attenzione alla centralità della persona, rispetto alla quale evitare lo spreco di cibo si presenta come il frutto di abitudini virtuose e di motivazioni maturate anche grazie alla presa di consapevolezza della gravità del problema.
Di nuovo, la comunità fondata sul dono è decisiva, in una tensione dialettica fra differenza e somiglianza: la differenza che, come si è detto, marca il difetto di chi è nel dovere di donare, e la somiglianza che tutti ci rende fratelli, com’è nell’auspicio di Papa Francesco:
Desidero tanto che, in questo tempo che ci è dato di vivere, riconoscendo la dignità di ogni persona umana, possiamo far rinascere tra tutti un’aspirazione mondiale alla fraternità. Tra tutti: “Ecco un bellissimo segreto per sognare e rendere la nostra vita una bella avventura. Nessuno può affrontare la vita in modo isolato […]. C’è bisogno di una comunità che ci sostenga, che ci aiuti e nella quale ci aiutiamo a vicenda a guardare avanti. Com’è importante sognare insieme! […] Da soli si rischia di avere dei miraggi, per cui vedi quello che non c’è; i sogni si costruiscono insieme” [Francesco 2019: 9]. Sogniamo come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli! (Francesco 2020: n. 8).
Come negli ultimi numeri della rivista, anche in questo la sezione dedicata al tema dell’“Ecologia integrale e nuovi stili di vita” si chiude con il contributo di Milena Cordioli e Arianna Novaga, “Physis e forme ecologiche delle immagini d’arte. Naturalia nella camera delle meraviglie”. Qui il senso della comunità si allarga visivamente fino a comprendere la complessità dei fenomeni naturali, trasfigurati dall’intervento artistico che li raccoglie nella Wunderkammer. È il campo dell’immaginazione, ideale punto di passaggio alla seconda sezione di questo numero di “Iusveducation”, dedicata al modo in cui Gaston Bachelard declina l’epistemologia nella psicanalisi, misurandosi con l’immaginario, il simbolico, la rêverie.
I quattro contributi che riguardano Bachelard sono il risultato del Seminario Internazionale sulla relazione fra il suo pensiero epistemologico e l’immaginario, “Conoscenza scientifica e immaginario: il pensiero di Gaston Bachelard fra epistemologia e psicoanalisi” (Iusve, 7 Maggio 2021). Promotore di una filosofia aperta e dialettica, in cui il progresso scientifico procede a salti, di «rottura in rottura», Bachelard individua e analizza gli ostacoli epistemologici che determinano rallentamenti nel processo conoscitivo; pone il pensiero scientifico in continua discussione e rettifica, criticando incessantemente i dogmi e sottolineando come le continue approssimazioni scientifiche e le nuove acquisizioni neghino le precedenti. La curvatura comune ai quattro articoli su Bachelard è costituita dal tema dell’immaginario, inteso come motore della creatività trasformativa ed essenza primigenia dello psichismo umano. Nevio Del Longo introduce la figura dell’epistemologo francese, soffermandosi in particolare sull’utilizzo della psicoanalisi come strumento per proteggere la conoscenza scientifica dall’incursione della natura e degli istinti. Jean-Jacques Wunenburger, autorevole interprete del pensiero di Bachelard, presidente dell’“Associazione Internazionale Gaston Bachelard”, dimostra come esso sia debitore di Jung, dal quale trae un’esperienza prevalentemente libera, che rende dinamico il mondo trasformato dall’immaginazione e soprattutto dalla rêverie poetica. Renato Boccali introduce il lettore alle finissime relazioni fra Bachelard e Winnicott, sottolineando come quest’ultimo attribuisca all’attività creativa una funzione fondamentale per lo sviluppo psichico, intellettivo e affettivo della personalità sana. Infine, Fabrizio Palombi completa la piccola monografia dedicata a Bachelard, entrando nel merito della sua epistemologia della psicoanalisi.
Nel complesso la riflessione sull’epistemologia di Bachelard porta l’attenzione sulla complessità dell’atto conoscitivo e, insieme, di quella singolarissima unità plurima che è la persona umana che lo compie. Come ci ricorda Michael Polanyi,
le arti del fare e del conoscere, la valutazione e la comprensione dei significati, sono considerati solo come i differenti aspetti dell’atto di ampliare, nella nostra persona, la consapevolezza sussidiaria dei particolari che compongono un intero. La struttura che inerisce a questo atto fondamentale della conoscenza personale ci fa necessariamente partecipare alla sua formazione e, insieme, ci fa riconoscere i suoi risultati in termini universali. Questo è il prototipo dell’impegno intellettuale,
che è un «atto di speranza» (Polanyi 1958: 65), teso a realizzare un’obbligazione e una vocazione che non hanno a che fare soltanto con l’interiorità ma anche con la comunità degli esseri umani.
Come si è detto in apertura, è proprio il senso del dovere del dono a fondare la comunità, nella misura in cui ciascuno è chiamato a quest’obbligo. In ciò egli è esaltato nella differenza che lo distingue dall’altro e, nello stesso tempo, coglie l’universalità e la necessità dell’umana vocazione al dono. A partire da questo presupposto si apre la prospettiva di una umanità che è valore e che, donata dall’uno all’altro nel riconoscimento e nel rispetto reciproco, costituisce «una famiglia universale, una comunione sublime che ci spinge ad un rispetto sacro, amorevole e umile» (Francesco 2015: n. 89): per camminare verso l’amicizia sociale e la fraternità universale, è necessario «rendersi conto di quanto vale un essere umano, quanto vale una persona, sempre e in qualunque circostanza» (Francesco 2020: n. 106).
Adorno, T.W. (1975). Teoria estetica. Einaudi.
Esposito, R. (1998-2006). Communitas. Origine e destino della comunità. Einaudi.
Francesco (2015). Laudato si’. Enciclica sulla cura della casa comune. San Paolo.
Francesco (2019 maggio 9). Discorso nell’Incontro ecumenico e interreligioso con i giovani, Skopje – Macedonia del Nord. L’Osservatore Romano, 9.
Francesco (2020). Fratelli tutti. Enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale. Messaggero.
Polanyi, M. (1958). Personal Knowledge. Towards a Post-Critical Philosophy. Routlegde & Kegan Paul.
Segrè, A. (2022). L’insostenibile pesantezza dello spreco alimentare. Dallo spreco zero alla dieta mediterranea. (D. Girardi, Ed.). Castelvecchi.